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Tu stesso diventi colui del quale sei amico

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Probabilmente nemmeno l’immaginazione del vecchio polacco che se ne sarà uscito chissà quando con questo proverbio (un anziano di sicuro, perché doveva essere uno che la sapeva lunga), avrebbe mai potuto prevedere quanto bene avrebbe sintetizzato la strana esperienza di nove italiani a Tarnów.81023778_580837489407279_9163981396589412352_n

Arriviamo nel piccolo centro dell’estremo sud del paese il 3 novembre, dopo un viaggio di circa ottanta chilometri da Cracovia. Siamo solo a metà del pomeriggio, ma è già buio nella città “con il clima più mite della Polonia”; affermazione lapidaria ma incoraggiante letta su Wikipedia, che però non rende meno pungente il freddo che ci accoglie una volta scesi dal treno. Tra di noi la temperatura si è invece fortunatamente già alzata, nonostante alcuni dei partecipanti si siano conosciuti solo pochi giorni prima, intorno a un tavolo dell’associazione Youmore Morcelli Giovani, tra po’ di timidezza e imbarazzo, tante aspettative verso la nuova avventura e un paio di battute giusto per chiarire che si è tra gente alla mano. Come da raccomandazioni, cerchiamo di mischiarci subito tra la fauna raccolta nel centro di riabilitazione che ci ospita, struttura nuovissima e lussuosa.79602851_502086247067382_5254582845283762176_n Ci vuole poco a fare amicizia con gli spagnoli, ma anche gli ungheresi e i polacchi fanno del loro meglio per cercare di rompere il ghiaccio alla svelta: scambio di nomi e luoghi di provenienza, commenti di rito sul cibo e due sfottò sui reciproci stereotipi culturali. Dopo una nottata di festa grande, il giorno seguente il sole si decide a mettere fuori il naso, e tutto fila abbastanza liscio. Evidentemente al cielo della Polonia piace però scherzare, e per gran parte dei cinque giorni seguenti siamo costretti a restare al chiuso a causa del clima. L’unica escursione a Cracovia, città magnifica e sorprendente, diventa così ancora più piacevole dopo vari giorni di prigionia.

La parte del “Personal development” promessa dal progetto di scambio culturale, non si può dire non ci sia stata, ma non è stata fatta con le attività, gli workshop affidati alle varie nazioni e i giochi a tema. Si è costruita piuttosto autonomamente, nella gestione di relazioni e dinamiche di una piccola società temporanea, che si è trovata anche a dover fronteggiare difficoltà con la “d” maiuscola. Proprio nei momenti problematici si sono manifestati lo spirito più autentico e il senso di questi scambi culturali: da un lato la tentazione di rintanarsi nei gruppetti nazionali in cerca di conforto e sicurezze, dall’altro il significato ancora più forte dei momenti di festa condivisa e di confronto interculturale che si autogeneravano in continuazione, soprattutto con gli amici spagnoli. Gli italiani – e lo scrivo con la tranquillità e l’innocenza di chi non crede minimamente negli orgogli nazionali – si sono fatti riconoscere per calore e affetto, per la voglia di costruire ponti tra le differenze e di superare le barriere linguistiche, magari mettendo insieme pezzetti di due o tre idiomi diversi per aiutare chi era meno preparato. Una bella mano l’hanno data ovviamente la pasta, il Grana e i salumi che ci siamo portati al seguito, offerti come pezzo forte della serata dedicata al nostro paese, insieme ad alcuni dei nostri cocktail tipici (leggi Bellini e spritz). Nello “spettacolo” che abbiamo offerto c’è stata tanta autoironia: abbiamo scherzato sul nostro modo di parlare in inglese, giustificando il nostro cattivo accento attraverso una raccolta di scioglilingua in dialetto bresciano, abbiamo ospitato un intermezzo azerbaigiano (non ci si crede, ma è vero), abbiamo insegnato ai presenti uno dei nostri balli tradizionali più amati, il “Gioca Jouer”.80524749_454828165435734_6473297300335624192_n

“Quello che succede a Tarnów resta a Tarnów”, scherzava Sona Arevshatyan, coordinatrice di Youmore, nell’incontro prima della partenza, invitandoci ad abbandonare i pregiudizi e ad uscire dalla nostra zona di comfort senza timore di rendersi a volte ridicoli. Ma mentre corriamo trafelati verso l’imbarco dell’aereo per tornare in Italia, maledicendo ad ogni passo un autista decisamente pigro, sentiamo che la nostra valigia è più voluminosa che all’andata, carica di esperienze inaspettate e del ricordo di nuovi amici. Lontani sulla cartina, eppure ormai un po’ parte di noi.

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